A granatin…a granatin…
Quando sentivamo questa voce, che era quasi un canto, una
melodia invitante, si scatenava l’euforia tra noi. E correvamo da mamma per
chiederle due monetine e poi giù di corsa per le scale e per la strada per
raggiungerlo. Si muoveva veloce e nel frattempo era già arrivato due isolati
più avanti. Spingeva il suo carretto con le ruote alte e sopra di esso era
appoggiato il lungo pane di ghiaccio, coperto da un sacco di iuta per
proteggerlo dal caldo. Quel caldo afoso d’agosto, con vento di scirocco, che ti
secca la pelle. Ognuno col suo bicchiere in mano, proteso verso di lui che ci
guardava sornione… Vulit a granatin? Al coro entusiasta da parte nostra allora
lui sorridendo scopriva il ghiaccio e prendeva l’attrezzo mostrandocelo. Una
pialla. Una normale pialla da falegname, che però lui con destrezza e
delicatezza, e con un movimento lento e morbido, strofinava sul lungo pane di
ghiaccio creando quella nuvola soffice che poi ti versava nel bicchiere. E già
la tua mano cominciava a godere della prima frescura. Bicchieri stracolmi che
ancora però erano protesi verso di lui, perché ora veniva il momento
importante. Due boccette in mano con un tappo di sughero da cui spuntava una
sottile cannuccia e la domanda: rosso o verde? E quelle gocce di sciroppo versate
si spandevano lentamente a colorare tutta la granatina pronta per regalarti un
piacere, difficile da dimenticare.
Monopoli…tanti anni fa!
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